Ieri sul quotidiano La Repubblica (nella rete lo trovate qui) è uscito un interessante articolo nel quale Carlo Petrini analizza i dati e la situazione generale dell’agricoltura nel nostro paese facendo emergere un quadro a dir poco sconfortante. Una cifra su tutte: in Italia per ogni under 35 impiegato in agricoltura ci son 12,5 lavoratori over 65! Si stenta a credere a un dato del genere e per rendersi conto della gravità della situazione basta confrontarlo con quanto succede negli altri paesi: in Francia per esempio per ogni under 35 ci sono 1,5 over 65 mentre in Germania la situazione è ancora migliore, addirittura in positivo visto che il rapporto giovani/vecchi è di 0,8. Ora, io non sono uno studioso di numeri, statistiche e previsioni ma delle cifre del genere non possono che portare a una sola conclusione: se le cose rimangono così tra cinque, massimo dieci anni in Italia non ci saranno più contadini!
La facile previsione è presto fatta: quanto possono ancora lavorare gli over 65 in un mestiere che dal punto di vista della forza fisica non è certo fra quelli che fa risparmiare energia? nella migliore delle ipotesi un contadino penso si possa spingere a lavorare fino ai 70 anni, passati i quali la pensione non è neanche più un diritto ma un dovere! Umorismo a parte, e dopo? passati questi cinque, massimo dieci anni cosa sarà dell’agricoltura italiana se il ricambio generazionale è cosi deficitario?
Altri dati riferiscono che il 4% della forza lavoro attiva del nostro paese è impiegata in agricoltura in un settore che rappresenta il 15% del PIL relativo all’agroalimentare; i lavoratori del settore sono in costante calo visto che erano 984mila nel 2006, passati ai 924mila nel 2007 e ai 901mila dello scorso anno. Ancora: solo il 2,9% delle aziende agricole è condotta da un under 35 contro il 7,5 della Francia e il 7,6 della Germania. Per non citare gli Stati Uniti dove dal 2002 a questa parte sono nate 300mila imprese agricole… E per finire con i dati negativi gli iscritti alle facoltà di scienze agrarie in Italia nel 1994 erano 8.116 ridotti a 4.649 nel 2007 che significa un meno 43%.
Questi i numeri che delineano un quadro preoccupante per il settore agricolo e che appunto fanno prevedere un futuro alquanto nebuloso. I motivi di questa tendenza sono molteplici e antichi eppure il tutto suona incredibile e beffardo perché succede nel paese forse più ricco al mondo di prodotti e varietà alimentari, depositario di tradizioni uniche e metodologie secolari, capace di produrre ben 165 tra DOP e IGP.
Paradossalmente allora la crisi di questi tempi può in questo senso rappresentare una svolta positiva costringendoci a riscoprire la vita nei campi e tornare a lavorare in un settore che potenzialmente rappresenta una notevole risorsa da sfruttare. I segnali non mancano, le oltre 45mila aziende italiane di agricoltura bilogica (primi in Europa, quinti al mondo) stanno lì a testimoniarlo a riprova del fatto che quando investiamo le nostre migliori risorse non siamo, a livello mondiale, inferiori a nessuno.
E allora non rimane che concludere con l’appello di Petrini ai giovani: “Uscite dai call center, andate nei campi!”.
Foto di indrasensi
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