Ginkgo biloba: un fossile vivente in giardinoUn consiglio su quale albero piantare nel vostro giardino?
Non esito a indicarvi il Ginkgo Biloba, un vero e proprio fossile vivente.
Se avete un sufficiente spazio a disposizione la pianta di Ginkgo rappresenta un’originale alternativa alle tradizionali piante ornamentali grazie all’elevato effetto cromatico che si manifesta in autunno con le foglie che virano di colore prima di cadere dal verde chiaro e intenso ad un color ambra di notevole pregio estetico.
Pianta immutata dalla sua comparsa (nel Giurassico) ai giorni nostri e per questo definita fossile vivente, il Ginkgo biloba è una conifera originaria della Cina e del Giappone dove sono stati ritrovati fossili in giacimenti di carbone risalenti a 250 milioni di anni fa.

Tradizionalmente coltivato nei giardini di palazzi e templi cinesi e considerato albero sacro, il nome generico deriva dalla trascrizione non corretta del cinese yin kuo che significa albicocca d’argento in riferimento all’aspetto del seme, mentre il nome specifico biloba si riferisce alla forma del lembo fogliare, bilobato appunto, che fa prendere alla foglia la caratteristica forma a ventaglio.
La sua vasta diffusione nel mondo si deve esclusivamente alla coltivazione da parte dell’uomo anche se sembra essere spontanea nella remota regione dello Zhejiang.
Introdotta in Europa all’inizio del XVIII secolo, oggi è utilizzata nelle alberature cittadine sopportando bene le difficili condizioni che si manifestano in ambiente urbano. Si adatta alle diverse condizioni pedo-climatiche, tollera bene l’inquinamento e non presenta parassiti pericolosi.
È una specie moderatamente eliofila ( dal greco èlios = sole e philìa = amore) che resiste bene alla siccità e sopporta tranquillamente le basse temperature (non subendo danni anche a -35°!). Inconvenienti si possono manifestare in ambienti asfittici o eccessivamente calcarei.
È una pianta longeva che può raggiungere altezze di oltre 20 metri ma la cui crescita è abbastanza lenta; dalle sue foglie si ricava un principio attivo utile, tra l’altro, per curare patologie artereosclerotiche.
È una specie dioica, esistono cioè piante maschili e piante femminili, che presenta un metodo di fecondazione particolare riscontrabile soltanto nelle felci ed in pochi alberi oggi viventi.
L’impollinazione è anemofila (cioè un’impollinazione affidata al vento) e avviene nel momento in cui ha inizio la fogliazione, cioè verso la metà di aprile, ma la fecondazione è ritardata e avviene in autunno quando il seme ha raggiunto le dimensioni definitive mediante cellule maschili ciliate e mobili che raggiungono gli ovuli attraverso una pellicola d’acqua.
Il seme ha un aspetto drupaceo con un involucro carnoso di color rosa arancio e con dimensioni simili a quelle di un’oliva. Quando cade degrada velocemente emanando un odore penetrante e sgradevole (tipo carne putrida).
In Giappone i semi sono considerati una vera prelibatezza e vengono mangiati dopo essere stati arrostiti.
Per scopi ornamentali vengono invece solitamente coltivati soggetti maschili realizzati in vivaio per innesto.
Problemi si possono manifestare in caso di morte della parte annestata con lo sviluppo del portainnesto di cui non si conosce il sesso.
In condizioni ottimali infatti la pianta raggiunge tardi la maturità sessuale con le prime fioriture che si manifestano soltanto verso i 30 anni. Prima di quel momento sono stati proposti metodi di riconoscimento che si basano sul portamento dei rami (sembra siano portati tendenzialmente più ascendenti nei soggetti maschili) o sulla dimensione e forma delle gemme. Tutti i criteri considerati comunque non sono infallibili per cui, se non vi volete ritrovare costretti a raccogliere semi in putrefazione dal giardino (attenzione: a contatto diretto coi semi c’è il rischio di noiose dermatiti), rinunciate all’idea di assaggiare se sono veramente cosi buoni arrostiti e rivolgetevi ad un vivaio acquistando un soggetto maschile.