… o quanto meno a vivere meglio. È quello che cerca di fare il progetto denominato Urban Biofilter che, unendo concetto di fitodepurazione la capacità di alcune piante di operare da filtro contro gli inquinanti atmosferici, vuole assicurare alle popolazioni urbane una qualità di vita migliore e più sana.

È fuori discussione che vivere nei centri urbani sia, oltre (e più) che un’opportunità, una necessità. Più del 50% della popolazione mondiale infatti vive nelle città e questo dato rende meglio di qualunque altro l’importanza del fenomeno. Che di contro porta con sé una serie di enormi problemi non facile da risolvere, a cominciare da quello ambientale. L’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo sono i principali nodi da affrontare nell’ecosistema di una città che, insieme all’inquinamento sonoro e anche a quello visivo, rendono in genere pessima la qualità della vita dell’Homo urbanus”.
Prendete una città come Oakland, California. Circondata da una fitta ragnatela di strade e autostrade (come del resto la stragrande maggioranza delle aree urbane del mondo…) e con uno dei 20 porti più trafficati del mondo, la città californiana presenta tra la sua popolazione alti tassi di malattie dovute all’inquinamento, con picchi maggiori proprio nelle trafficate e inquinate zone del porto, tanto da portare i residenti a lottare contro i funzionari portuali e il settore autotrasporti.

Proprio in un contesto del genere ha preso il via uno dei progetti di Urban Biofilter che mira a purificare l’ambiente sfruttando i rifiuti urbani e migliorando la qualità della vita nelle città. La tecnica principale sulla quale si basa il sistema per depurare l’acqua è quella ormai conosciuta della fitodepurazione che sfrutta l’azione combinata di determinate piante (dette macrofite) con dei microrganismi per depurare le acque reflue.

Usando prevalentemente le piante di bambù però il progetto ottiene anche altri importanti risultati. Oltre ad abbellire la città e a celare le zone abbandonate del porto, il bambù funge anche da efficace barriera contro gli inquinanti atmosferici provenienti dalla zona industriale e dalle autostrade. Sì perché, se posizionate strategicamente, le piante di bambù sono capaci di filtrare sostanze come l’anidride solforosa, gli ossidi di azoto, il monossido di carbonio, l’anidride carbonica, l’ozono e altre simpatiche sostanze e in grado di catturare 15 chilogrammi di PM10 al giorno per ogni chilometro quadrato. Per rendersi conto dell’efficacia del sistema basti ricordare che, usando gli alberi, sarebbero necessari minimo 25 anni per ottenere lo stesso risultato dei due anni dei bambù dell’Urban Biofilter. Il tutto riducendo il deflusso dell’acqua piovana, valorizzando il paesaggio urbano e promuovendo un’economia verde.

Un altro importante progetto portato avanti da Urban Biofilter è il ripristino dell’estuario del fiume Tijuana. Al confine tra Stati Uniti e Messico, in un’area popolata da oltre un milione di persone e senza un vero sistema centralizzato di depurazione, nel fiume Tijuana viene scaricata praticamente la totalità delle acque reflue, situazione altamente nociva per gli ecosistemi acquatici e che può rappresentare un serio problema per la salute umana, ponendo la popolazione locale a un maggiore rischio di contrarre l’epatite e le infezioni da stafilococco, le malattie trasmesse da zanzare, da diarrea eccetera.
Durante l’estate del 2009 sono stati piantati in un substrato di ghiaia salici della zona e bambù creando un filtro naturale nel quale transita l’acqua del fiume prima di tuffarsi in mare, permettendo alle comunità che non hanno accesso ai sistemi di trattamento delle acque reflue di ripristinare e gestire le risorse idriche.
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